Sorgente del Respiro

Un caro amico mi scrive: «Mi piacerebbe che tu mi spiegassi bene il concetto di respirazione che ho capito a grandi linee ma vorrei farlo veramente mio. Hai scritto qualcosa su questo argomento? oppure, ti va di rispiegarmelo via mail? Credo che sia una cosa molto interessante. »

Carissimo Amico mio, psicologia viene dal greco  ψυχή – psyché:  anima, respiro, farfalla. Respiro è quindi intimamente connesso a psiche, e ne consegue che la psicologia studia e si prende cura fondamentalmente del respiro. Ne scrivo ora per Te, e Ti ringrazio per questa opportunità.

 Insieme a “consapevolezza” e “dono”, “respiro” è una delle tre parole che ho incluso nel logo di GestaltHouse, per dire dell’importanza che questa funzione assume per la mia vita ed il mio lavoro, e sarebbe bello lo sia un po’ più per tutti. Respiro è essenza del vivere, relazione permanente fra se stessi e mondo circostante: porto dentro e mando in fuori; dentro e fuori, costantemente; questa la relazione fra sé e il mondo; prendo e restituisco; faccio mio e dono in fuori. Naturalezza essenziale, questa funzione, e senza non vi sarebbe vita. Funzione essenziale nel suo esplicarsi, svolgersi; naturale ed immediata, l’aria che immettiamo ogni attimo in noi e che restituiamo all’universo dopo averla per un attimo custodita e fatta diventare parte di sé. Anche nello scrivere cerco di creare assonanza fra quanto esprimo e respiro. Questa parola facilita il respiro o lo ostacola? L’interrogativo subito lo ostacola; ma posso fare a meno dell’interrogativo? Giungono gli ostacoli d’esistenza, che immediatamente diventano difficoltà di respiro. Quanto colgo della difficoltà che giunge e che in qualche modo (già questo ‘qualche modo’ anche me lo ostacola) mi ostacola il respiro? (interrogativo ancora). Lo so, mi rendo conto; non tutto agevola, non tutto può essere liscio e lineare, tutto facile. Tante e talvolta anche di più le difficoltà in atto, gli ostacoli, gli impedimenti, le strettoie respiratorie, le contrazioni, gli affanni, i nodi alla gola, le incertezze, le ansie, i tremori, l’aria rarefatta, un crampo improvviso, l’affiorare di un mal di testa, una eccessiva palpitazione cardiaca. Capita, può capitare di essere sotto scacco; non tutto è sempre  lineare e tranquillo. E il respiro lo capta. Il respiro è il tracciato interiore della nostra esperienza di vita: se si è tranquilli e sereni, vi corrisponde altrettanto il respiro; se si è in tensione, affanno, gravati, in difficoltà, lo è altrettanto il respiro, e qui il rischio è di un corto circuito: si è in difficoltà esistenziale per un qualche motivo, il respiro vi corrisponde assorbendo e facendo propria tale difficoltà e diventando difficoltoso esso stesso. Ecco il corto, non si espande, stenta a fluire, può rarefarsi, bloccarsi. Occorre, è necessario, è possibile, diventare capace in quell’attimo, di collegarmi, di trovare contatto, di riandare alla sorgente del respiro. È la disposizione per la quale  si riesca a riprendere un filo di respiro essenziale, utile, necessario, minimamente soddisfacente. Quel filo ce l’abbiamo dentro, è la nostra vita, è la soddisfazione piena dello stare in vita. In situazione di difficoltà, si è prepotentemente presi da questa, per l’angustia o rabbia o dolore o tutto e tanto altro insieme che  in negativo essa determina. Ma per un attimo, dalla situazione complessiva che mi ritrovo a vivere in questi casi, mi conduco-decentro-concentro-vado-vengo_incontro alla situazione interiore che vivo-stovivendo-mi sta_interessando-colpendo. È un passaggio essenziale, reso possibile da una capacità in parte innata ma alla quale anche ci si esercita, che è importante cresca sempre più in sé stessi, e che chiamiamo consapevolezza.  Essere_diventare consapevoli, far crescere la consapevolezza per quanto si sta vivendo nella situazione in cui ci si ritrova, per quanto si avverte in sé, per come si avverte il proprio respiro, è un obiettivo del diventare grandi per andare con serenità incontro al mondo.

Molto può contribuire a far crescere la consapevolezza dell’essere nel mondo: l’affetto, il nutrimento, gli apprendimenti; e la parola è sovrana a  tal fine. Parola è due dimensioni insieme: significato per quanto con essa si esprime ed energia espressiva – o pneumologica –  per come la si esprime. C’è un giusto_equilibrato grado espressivo; ce ne può essere uno eccessivo_di troppo, ed uno deficitario o carente. Giusto ed equilibrato grado espressivo può esserlo talvolta, ogni tanto, quando si riesca. Per tanti capita constatare che nel dire possa il più delle volte invece prevalere una inadeguatezza, per un eccesso espressivo o, viceversa, per una carenza rispetto a quanto si sarebbe inteso e che invece non si è riusciti a dire. Inadeguatezza espressiva facilmente determina contrasto nei rapporti e malessere in chi, interessato, ad essi vi partecipa. Avere misura del proprio grado espressivo è fondamentale per avere cura di sé e prendersi adeguatamente cura dei rapporti in  cui si è coinvolti e che si è soliti sviluppare. Misura, è dire quella parola ancora: consapevolezza. Strumento per la misura è il respiro. Costantemente si ha sottomano (per dire) il proprio respiro; realmente è uno strumento a portata di mano, se lo si sa o si impara ad usare_gestire_valorizzare_farlo funzionare. Un respiro agevole, fluido, soddisfacente è segno che la propria presenza nella situazione in cui si è, è soddisfacente, tranquilla, realizzante, positiva, favorevole. Un respiro affannato_contratto_scarso è segno di una difficoltà in atto. E ciò può derivare sia da un eccesso o, viceversa, per un carenza espressiva. Che fare nella situazione? Consiglio è quello di valutare il grado di difficoltà: se è lieve, occasionale, gestibile, se si hanno strumenti di conoscenza, e si è inseriti e si gestiscono rapporti ordinariamente vivibili,  prevalentemente d’intesa reciproca, le difficoltà del momento possono trovare soluzione mediante una messa a punto dell’atteggiamento ritenuto non del tutto adeguato, nel tentativo pertanto di migliorarlo e renderlo maggiormente adeguato.  Se il problema è invece maggiormente complesso e, per le difficoltà che emergono, esso appare di difficile gestione con gli strumenti di cui si disponga, per la situazione relazionale in cui esso si determina, una consultazione psicologica può senz’altro giungere utile. Dalla consultazione può conseguirne un iter terapeutico con l’obiettivo di adeguare al meglio la funzione espressiva. E questo, a partire proprio da quanto_e_cosa_ si_esprime_e_come. La seduta psicologica – o meglio dire l’alzata, giacché proprio_proprio implica un cammino da compiere – diventa, di fatto, un laboratorio attraverso il quale si sperimenta la modalità con cui si sviluppa_si attualizza_si mette in atto la comunicazione, potendo al contempo fare esperienza di cosa_come la si possa  rendere maggiormente adeguata, rispetto a quanto si desidera e si sia in grado di realizzare col supporto anche della relazione terapeutica.

La dimensione espressiva è la reale fonte del respiro, e la parola ne è la qualità più pregnante. Dimensione espressiva che, come il respiro,  consta di due concomitanti gesti_azioni che l’attualizzano: l’inspirare_prendere_ascoltare e l’espirare_dire_dare. Due gesti_azioni strettamente connessi fra loro, tanto che a crescita_sviluppo o, invero, inibizione_difficoltà dell’uno vi corrisponde altrettanto per l’altro.  Ritenere che uno fra i due possa procedere ed evolversi senza l’altro induce a falsare la reale funzione_azione di entrambi. Non si può saper parlare bene se non si sa bene ascoltare; né si è in grado di sviluppare una adeguata capacità di ascolto se al contempo non si è in grado di esprimersi in maniera minimamente soddisfacente ed anche più per come l’evolversi di fasi di vita per ognuno richieda. Scegliere se dire_o_tacere in un dato contesto_momento_circostanza, questo l’obiettivo a cui tendere per preservare un essenziale equilibrio psicologico. E per dire_o_tacere va intesa l’espressione più rispondente al proprio bisogno interiore, in considerazione della circostanza in cui si ritrova. Non tutte le istanze espressive che l’interiore dimensione ispira possono, in ragione delle circostanza di vita in cui ci si ritrova, diventare effettivo messaggio_trovare concreta immediata attuazione.  Talvolta si vorrebbe tacere, ma si è indotti ad esplodere; tal altra si vorrebbe dire ma la circostanza non è tale per cui lì per lì lo si possa. Capita, succede, è così. Di mezzo ci passa ancora quella parola magica: consapevolezza. Rendersi conto di come si sta “funzionando” in un dato momento è essenziale per adottare il comportamento più adeguato nella circostanza. E il metro_termometro è, per l’appunto, il respiro. Se fluisce lineare e limpido, ok_bene_ottimo; se si accartoccia, si contrae, non è soddisfacente per l’apporto di aria di cui si necessita, occorre prendere misure cautelative: se si è in silenzio, potendo, cercare di parlare; se si sta parlando cercare di tacere o di rallentare il dire; se si è in piedi potersi sedere; se si è seduti, cercare di alzarsi. Espedienti, è vero, ma talvolta aiutano. Ad aiutare realmente è però l’esercizio di consapevolezza per il quale ci si rende conto di cosa, momento per momento,  realmente succede in se stessi. Poi non sempre le circostanze permettono l’azione_comportamento che più vorremmo_che si riterrebbe utile_necessario_adeguato. Ma intanto si è pronti_predisposti_disponibili_preparati_si ha voglia_ci si sente di poter finalmente tacere o finalmente poter dire. Se si può, che si è pronti e capaci, è questo che importa di più. E finalmente quindi parlare, giacché, poter_saper_dire ha del miracolo, realmente può cambiare la vita. Ed è la valenza pneumologica della parola che va colta qui come essenziale. Ogni momento_circostanza_situazione in cui ci si ritrova a_vivere_ad_essere­_a_stare, per l’attività percettiva_propriaccetiva che l’accompagna_e/o_la‑determina, viene a determinarsi in pari tempo un conseguente flusso di pensiero che per sua natura richiede di diventare espressione. Quel pensiero, sotteso a quella tale circostanza che si sta vivendo, che sia esperienza diretta, ma ciò vale anche per quanto si giunga a percepirsi come immagine mentale, sia ricordo passato che fantasia d’altro tipo -, quel pensiero ha in sé una propria energia. Quell’energia, penso, abbia corrispondenza diretta col flusso respiratorio, per cui se si riesce ad esprimere anche e soprattutto a parole il pensiero sotteso a quella data esperienza, ne deriva un apporto d’ossigeno corrispondente al funzionamento mentale che ha permesso lo scaturire di quel pensiero. In tal modo la mente si_ristora_è_rinfrancata_riacquista_vigore per esercitare ulteriormente la sua funzione: poter sviluppare ulteriormente pensiero. Allorquando si sia scarsamente adusi all’utilizzo del linguaggio, con la tendenza più a trattenere che ad esprimere, ci si impedisce, di fatto, tale opportunità, ovvero che la mente si ristori e rigeneri adeguatamente in rapporto al tipo di impegno che sta svolgendo, per la situazione che mentalmente si sta affrontando. Ritenendo che le situazioni in cui si è in gioco molto spesso hanno connotazione problematica, la scarsa propensione espressiva, contraendo la funzione respiratoria – o perlomeno non rendendola adeguata – altro non determini se non un ostacolo per un ottimale funzionamento mentale che a cascata consegue un ulteriore ostacolo nella ricerca di soluzioni possibili per la difficoltà avvertita. Come dire che la mancata adeguatezza espressiva altro non fa se non peggiorare il problema, nel mentre la capacità di manifestarlo per come lo si percepisce e lo si vive offre una opportunità maggiore di avvalersi di una mente più adeguata nel suo funzionamento per ricercare una possibile soluzione al problema avvertito.

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