Antonio ROMANO Professore Associato di Glottologia e Linguistica presso il Dipartimento di Lingue e Letteratura Straniere e Culture Moderne dell’Università degli Studi di Torino; responsabile del Laboratorio di Fonetica Sperimentale “Arturo Genre”, e direttore del Master in Traduzione per il Cinema, la TV e l’Editoria Multimediale; è studioso dei dialetti d’Europa, e soprattutto italiani, e ancor più meridionali, pugliesi e il salentino. cv

Amico e collaboratore di GestaltHouse APS, lo coinvolgiamo per valorizzare soprattutto insieme ai bambini, a scuola e nei campi estivi, il nostro dialetto, con narrazioni te cunti (racconti) e dialoghi sull’origine e l’uso di parole e detti dialettali.

Campo estivo 2020

Campo estivo 2019

Campo estivo 2017

VOCABOLARIO ITALO-SALENTINO

Sempre tanto l’impegno di Tonino Romano per aprire un futuro al nostro passato, alla nostra lingua natia. Nel novembre scorso, è uscito il suo “Vocabolario Italo-Salentino – Strati di un lessico in evoluzione”, (Giorgiani Editore, Castiglione di Lecce, 2020), che raccoglie una serie di schede apparse in precedenza a partire dal 2018 su Presenza Taurisanese. Il libro, dedicato a Vittorio Zacchino, prefatto da P. G. Battista Mancarella, con due postfazioni, di Edoardo Winspeare e di Luigi Rotano, è incluso nella collana “Cultura e storia” della Società Patria sezione di Lecce, e pubblicato grazie al “parziale contributo” del Collegio Provinciale dei Geometri e Geometri Laureati di Lecce.

Il libro è un vocabolario ragionato di un centinaio di parole del nostro dialetto salentino, messe a confronto anzitutto per somiglianze e differenze terminologiche e di pronuncia con termini di radice e significato analogo di altre lingue o paesi di questa stessa salentina o altre aree geografiche.

È un libro per specialisti del linguaggio, ma può essere altrettanto affascinante anche per chi intenda avventurarsi nei meandri dei significati, di come questi si intreccino fra loro e come, cogliendone uno se ne aprano tanti altri a seguire avvicinando fra loro parole diverse ma collegate da fili impercettibili che il lavoro filologico riesce a rendere espliciti.

Sono gravati, questi nostri tempi da una diffusa tristezza per questo insidioso covid che costringe a diradare i rapporti ma che, ulteriormente, per noi di terra d’Otranto viene ad assommarsi alla sconfinata tristezza per lo sconvolgimento agricolo e paesaggistico causa xilella, da qualche anno ormai. Libri come questo di Tonino Romano aprono alla fiducia di poter riagganciare un elemento fondante del nostro vivere sociale e familiare: la lingua, con le parole, i suoni, i racconti, perché la forza espressiva del passato possa imprimere energia al futuro della nostra terra.

Certo che collocate in un libro, le parole e le espressioni del dialetto hanno un sapore diverso da quando sono pronunciate nei luoghi di vita quotidiana: le case, le strade, i cortili, le campagne dove sono nate e cresciute lungo anni e secoli. Ritrovarle in un libro sembra un’operazione di laboratorio, con un suo valore per chi le studia ma sganciato dalla realtà nella quale dovrebbero essere valorizzate come espressione corrente per potersi rivitalizzare. Pochi fra le giovani generazioni utilizzano parole e linguaggio della nostra lingua madre, la maggior parte stenta a conoscerne il significato.

Intanto ne parliamo, intanto siamo qui a dire che riprendere il corso di quelle parole, espressioni e racconti è molto importante per ritrovare noi stessi e non essere fagocitati in un mondo globale che sempre più tenderà ad invadere la vita delle persone. Disporre di una corroborata identità significa disporre del requisito essenziale per potersi confrontare col mondo piuttosto che lasciarsi semplicemente invadere da esso col rischio di smarrirsi.

Grazie Tonino!

LPr

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L’introduzione del libro è qui reperibile >>>

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Il libro è diffuso in copie limitate; per chi lo desidera va richiesto a: collegiogeometrilecce@gmail.com

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Intervento di Antonio Romano in un servizio podcast del Corriere della Sera (30 gen.2021) dedicato all’Archivio dialettale del Laboratorio di UniTo che egli dirige (primi 17-18 minuti). >>>

Poesia di Antonio Romano  dedicata ad affetto familiare, la zia, scritta in dialetto Parabitano (di Parabita) e da egli stesso tradotta, e che egli  così presenta:

Ahi, Rusina – Nel corso della sua vita, mia zia Assunta ha molto amato le tartarughe. Ne ha avute molte  e tutte si sono chiamate Rusina. Si muovevano attorno a lei oziose, spesso avvolte nella peluria della lana che filava, finendo talvolta nella spazzatura o nei residui del bucato…

Ahi, Rusina            17-21 marzo 2020

Ahi, Rusina! Cci nde sai

te sta vita ca ne ṣṭṛus¢ia?

Ti pili nosci cci ssai?

te sta ggente ca rus¢ia…

Ci puru sbroji stu filu te lana,

nu’ ssai sta piaca comu se sana.

Nu’ ssìccane ste còzziche allu sule

ci l’occhi li teni chini te prule.

– Cci bbestie su’ ca squàjane matuḍḍe

e ccunzùmane pasuli e ccipuḍḍe?

– Cci speri sta sorte noscia cu bbiti

ci cu oti ḍḍa capu mancu te fiti?

Cci bbo’ ccapisci te arte e ccunvegni

ci mancu mmirci sti bbelli ddisegni?

Te paesi e ccittà nu’ ssai propiu nenzi.

U sutta e llu susu te vene lli penzi?

Te storia e ppuisìa cci tte nde futti?

Mpena lu mangi te scordi cci gnutti.

Cci tte nde faci cu scopri cci llassi,

ci sona e cci canta quandu sta’ ppassi?

Cci ssape na cilona sconzulata

allu sule te marzu rosulata?

Nu’ ssape te ḍḍu vene ḍḍa luce

ci ète ca la pija e cci la nduce.

Tutta ncaddarata va’ scalis¢i.

Ci te nchiana a ncapu ṭṛapulis¢i

mmenzu ḍḍe paḍḍotte spriculate,

nu llurdi e nnu ffaci patate.

Nu’ tte nde ncàrachi, bbasta bbai nnanzi

ci ciuveḍḍi te llea quiḍḍu ca vanzi.

Speramu cu nnu’ bbegna tte scafazza

nu’ ffutte tte scaranfa ḍḍa corazza.

Nu’ ddafrischi ci rrumani venṭṛisusu

e nnu’ rrii cchiui stampagni ḍḍu musu

penzi ca spiccia ḍḍu mundu te cuti

te lassi s¢ire, te fermi, te stuti…

Mancu nui sapimu aḍḍu s¢iamu

cci ssu’ sti llanzi ca scancamu.

Cci ggè stu pisu ca ne cazza,

a cci n’ha’ nzunatu cu nne fazza.

Traduzione

Ahi, Rusina! Che ne sai / di questa vita che ci strugge? / Dei nostri segreti cosa sai, / di questa gente rumorosa? //

Se pure sai sbrogliarti dalla lana, / non sai come si curano le ferite. / Non si asciugano le croste al sole / se non ripulisci gli occhi dalla polvere.//

– Che animali sono questi che si perdono nei pensieri / e si nutrono di fagioli e cipolle? – Come speri di penetrare la nostra umanità, / se non riesci a girare neanche la testa? //

Cosa vuoi capirne di arte e convegni / se nemmeno riesci a intravedere questi bei disegni? / Di paesi e città non sai proprio niente. / Il sotto e il sopra riesci a pensarli? //

Di storia e poesia che te ne importa? / Se appena finisci d’ingoiare non sai neanche cos’hai mangiato? / Cosa te ne fai di sapere ciò che lasci, / chi canta e chi suona mentre passi? //

Che cosa sa una tartaruga sconsolata / che si rosola al sole di marzo? / Non sa da dove viene la luce, / chi è che la prende e la dà. //

Tutta sporca di cenere vai frugando / e se ti salta in mente traffichi qua e là, / in mezzo alle zolle sbriciolate, / non sporchi e non lasci impronte. //

Non te ne importa, ti basta andare avanti / se nessuno ti toglie quello che hai messo da parte. / Speriamo che non venga a schiacciarti / a danneggiarti il carapace. //

Non ti riposi se resti a pancia in su. / E se non raggiungi più nulla col muso, / pensi solo che è finito quel mondo di roccia, / ti lascia andare, ti spegni… //

Neanche noi sappiamo dove andiamo / cosa sono questi slanci che affrontiamo / che cos’è questo peso che ci schiaccia / a chi è venuto in mente di crearci.

Crai

(Antonio Romano, 04/02/21)

Ha’ tittu, tisse, ca quandu cuntamu

nu’ nne fitimu cquardamu luntanu.

Stu tiempu ca vene, comu lu chiamu?

Nu’ ssacciu ci rrìa fus¢endu o chianu

Sacciu ca mutu nu’ ddura stu moi.

Te penzi ca l’os¢i lu ṣṭṛingi forte:

cu’ nnenzi spiccia, puru ca nu’ mboi,

e nn’aḍḍu ggiurnu te acchi alle porte.

Cchiù mprima o cchiù ttardu tice ca rria

stu poi ca nu’ssai, parente tu mai.

Nu nanzivanire sta’ sulla via;

topu ogni nnotte llucisce nu crai.

Puru ca nu’ llu mperri stu futuru

nc’è cinca sape ca vene sicuru.

Traduzione

Domani

Ha detto, disse, che quando parliamo / non riusciamo a guardare lontano. / Questo tempo che viene, come lo chiamo? /

Non so se passa veloce o piano // So che molto non dura quest’adesso / Pensi l’oggi di stringerlo forte: / (ma) con niente finisce, anche se non vuoi, / e un altro giorno ti ritrovi alle porte.

// Prima o poi dice che arriva / questo poi che non sai, parente del mai. / Un avvenire è sulla via; // dopo ogni notte albeggia un domani. / Anche se non lo afferri questo futuro / c’è chi sa che verrà di sicuro.