La parola terapeutica
Fra gli aspetti del vivere, parola è magia, vibrazione espressiva per comunicare e sviluppare relazioni con e fra l’umano mondo. Contribuisce a generare vita, ma può giungere talvolta a ferirla o, addirittura, ucciderla.
Nel fluire di ordinarie relazioni, parola è base per intendersi e capirsi, o comunque dire di pensiero ed esperienza propria, per come la s’intenda, e può aiutare, concordando, ad incontrarsi, o talvolta, in divergenza, distanziarsi.
Parola può stagliarsi su ulteriore dimensione, quella del ruolo terapeutico, potendo ridurre disagi e favorire, in circostanze elette, guarigione. È parola impregnata d’esperienza al fondo, sentita intimamente per gli effetti che produce nel dirla ed ascoltarla. Fra gli strumenti terapeutici di cui il medico disponga, Ippocrate già indica insieme “al tocco e al rimedio, la parola”. Ed è parola che cura nel prendersi cura: ed è il mio prendermi cura di te che ti aiuta a guarire, diventa sostegno, energia che riapre pori vitali, e, rianimando il respiro, la mente riprende vita (1).
A trasformare ordinario dire in verbo terapeutico sono elementi svariati che attengono la relazione nel complesso: fiducia essenziale fra i soggetti dell’incontro, con disponibilità a sviluppare dinamiche che includano prevalente volontà d’incontro su ogni pur comprensibile distanziamento che intervenga nello scorgere diversità d’essere e pensare. È parola che nasce dall’intimo sentire, che si sviluppa come sguardo, che sa creare spazio per l’ascolto, che determina reciprocità fra ascolto e dire, e da sentito ascolto fa scaturire necessità di dire, e per ogni parola che venga pronunciata ascoltarne il prodotto effetto.
Parola terapeutica si sviluppa nell’incontro, ed è l’incontro a svelarsi propriamente terapeutico, e ad esso vi contribuisce tanto la parola attinta dalla competenza del terapeuta come quella del soggetto che giunge a chiederne l’aiuto. E non è data una senza l’altra. Chiedere aiuto è formulare istanza: “ho bisogno…; avverto di me…; desidero…”; e questo è già incamminarsi in cerca di una soluzione al problema avvertito, ed ha funzione altamente terapeutica. Il terapeuta fa risuonare tale istanza, le da eco, ne ascolta e valuta l’effetto, e può giungere a pronunciarne di nuova, che colga esperienza viva in sé per quanto l’esperienza del soggetto-utente gli rimandi.
Parola terapeutica è fondamentalmente relazione, ed è gesto, sguardo, sentimento, intimo vissuto; spazio che offro per farmi avvicinare e toccare dalla Tua esperienza, ed è spazio che Tu apri che permetta il mio addentrarmi nella Tua, onde sviluppare contatto ulteriore nell’incontro.
Ha dell’amoroso questo dire: dal disvelare, all’accostarsi all’altrui vissuto; ma è nel graduare i margini del procedere di tale movenza che scienza terapeutica e chi la pratica fa valere propria ragion d’essere e d’agire.
Parola terapeutica è sintonia in progress, che si sviluppa e cresce; ed è confronto anche di attese e paure: quella mia di non farcela a raggiungerti, che vana giunga la parola; e la Tua a venirmi incontro, a fidarti, a ritenere possibile un ascolto purificato, scevro da ogni pregiudizio.
Parola terapeutica è reciprocità nell’orientarsi gradualmente verso la vicina presenza scorgendone tratti di un volto altro costantemente nuovo. Ed è graduare il sostegno a quanto basta, che non sia di meno per quanto si possa e sia di competenza, e neppure ecceda, al fine di confermare la personale autonomia del soggetto e la capacità di poter procedere da sé. Può essere indispensabile la terapia, ma se utile è perché indispensabile lo sarà sempre meno.
E diciamo di paura, di mia qui dico: di non essere all’altezza e non ricevere conferma per il ruolo. Tu che giungi a trovarmi, è perché mi ritieni capace a fornirti aiuto per quanto hai a cuore. E, da parte mia, ora lo devo / lo posso dimostrare. Fra “devo” e “posso” si gioca la partita, e, a ben vedere, l’intero percorso terapeutico; un “devo” che stringe al muro e asfìssia; un “posso” che dimensiona la presenza e in quel muro vi apre pure una finestra su un possibile futuro.
(1) “Terapia è assai simile a epimeleomai, ovvero mi prendo cura, ed è ben diversa dalla cura nel senso iatrico.” Cesare Padovani, A partire da Ippocrate – Dizionario minimo sull’arte del medico, AIEP Ed., Repubblica di S. Marino, 2002
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