Il flusso discorsivo
Il lavoro psicologico può favorire cambiamento in Sé stessi
per integrare l’esperienza alle trasformazioni
che lo scorrere del tempo produce
Ragion d’umano esistere è fondamentalmente sviluppo d’opera fra un prima ed ora, e fra ora e un poi. Siamo, nell’attimo, frutto di sequenze, azione, gesti, parole, eventi, fatti intrecciati intimamente in sé, affatto lineari, e per lo più sottesi all’evidenza, ma che giungono tutti, tanto o poco, comunque, a riguardarci. Opere da sé agite o da quanti con cui si sia in relazione, e che nel flusso raramente limpido e chiaro e per lo più, invece, sottotraccia e inconsapevolmente giungono a sfociare qui ed ora come effetto o conseguenza sul vissuto proprio.
Andrebbe colto riferimento di tal fluire anche rispetto a eventi di portata collettiva, su piano politico e di agire storico: vi è conseguenza fra condizioni del vivere di ognuno, e scelte e decisioni nell’organizzazione sociale che sappiano aprire vita e socialità o che invece la restringono o che giungano a chiuderla perfino con violenze e guerre che annientano innocenti vite, e dignità di chi si reputi vincente!
Qui sviluppiamo riguardo su dimensione personale, circa quanto si realizzi come esperienza, e determini risultato conseguente. Rispetto a quanto accada per ciascuno, lavoro psicologico può fondarsi esclusivamente sul margine di responsabilità personale che ogni accadimento può includere e che il soggetto possa considerare. E proprio tale lavoro consisterà nel rosicchiare ulteriore margine alla casualità di eventi e circostanze che si considerino, per spostarlo sul versante della responsabilità soggettiva. Quanto più si ravveda se stessi come artefici di quanto accade, tanto più vi corrisponde possibilità di sviluppare adeguatezza di risposta per la problematica avvertita. Quanto più ristretto è invece il margine di tale responsabilità, affidando ad altri causalità di quanto sia accaduto o accada, a circostanze della vita, a fattori comunque esterni che non dipendano da sé e di cui si sia prevalentemente vittime, tanto più in tal modo s’inficia alla base la possibilità di sviluppare intervento psicologico.
Se per le circostanze liete è alquanto agevole riconoscere il proprio tocco per quanto sia stato o si stia realizzando, non lo è però altrettanto per le quelle meno liete, o tristi e men che meno per quelle infauste. Sembra prevalere, nel dire solito, di circostanze casuali per quanto accaduto e non gradito, come di influssi non controllati che la vita abbia determinato. E realmente ve ne possono essere di circostanze che giungono a ferire, ma è l’assunzione di un margine essenziale di responsabilità propria rispetto a quanto accade a generare possibilità di un argine essenziale per le sgradite conseguenze che ne stiano derivino sul versante psicologico. Per quanto assurdo, crollasse anche improvviso un meteorite davanti ai propri piedi, da individuare potrebbe essere una propria responsabilità ad esigere, sul piano sociale, più adeguati servizi di controllo di elementi stratosferici che pervengano in terra. Il senso di responsabilità personale è la molla per ogni essenziale crescita e adeguamento della propria dimensione psicologica alle circostanze che la vita impone.
E comunque, episodi che giungano a riguardare se stessi, e da imputare a prevalente responsabilità altrui o talvolta anche a “pura fatalità”, ve ne possono anche essere. Ma quale impatto emotivo si sarà in grado di adottare nell’impatto? Giacché le conseguenze prodotte saranno anche in corrispondenza della risposta che si sarà in grado di adottare.
Talvolta anche condizioni di compromissione di salute e malattia si giunge a ritenerle come dovute ad un destino cieco e ingrato. Si adottano pertanto espressioni che esaltano il contrasto verso quei fattori di negatività, e “si lotta” addirittura contro un cancro o una depressione, quando quella malattia è se stessi; essa è il modo proprio di organizzare la propria vita, di aver dato e dare corso ad essa. Più che ‘lottarvi contro’, la malattia andrebbe capita per quanto il proprio intimo con essa esprime, per il modo come ad essa si sia giunti attraverso modi di vedere e di pensare, circostante, comportamenti, parole ascoltate e dette.
Linguaggio è la matrice che “mirigrammicamente” ha in sé inciso ed esprime, per ciascuno, il carattere proprio. Linguaggio è l’essere come si è nell’esperienza di Sé e nelle relazioni: tutto, di fatto, è linguaggio. “Mirigrammare” per dire di ogni aspetto mirato-osservato-vissuto di esperienza per l’effetto psicologicamente valutabile prodotto sul linguaggio adottato.(1)
E se l’esperienza s’imprime nel linguaggio, si renderà possibile che, decodificando il linguaggio, si ricavi il carattere dell’esperienza che lo ha determinato.
Il linguaggio concentrata in sé l’esperienza e la veicola. Nel suo procedere, o rallentare o bloccarsi, esso incarna il senso più vivo e profondo della stessa condizione che esprime. È fotografia dinamica d’esperienza, essendone immagine e al contempo sviluppo, per quanto apra il respiro o lo contragga; apra o blocchi l’interlocuzione; vi sia o meno coerenza esplicita o sottesa fra gli elementi nel proprio dire o nel collegarsi reciproco dell’interazione.
Da un capo del discorso, per come esso si sviluppa, si può cogliere la caratteristica essenziale della storia che si vive, si constatano flusso fiduciale che favorisce benessere e apre alla relazione o annodamenti che contrastano il senso del vivere e dello stare insieme.
(1) Mirigrammare (neologismo-proposta): l’effetto che ogni aspetto mirato (considerato) di esperienza determina in maniera psicologicamente valutabile sul linguaggio adottato.
Composta da “miri” e “grammare”:
miri → mirare, cogliere con i sensi – in maniera consapevole o inconscia -, l’esperienza che si sviluppa;
grammare → la misura, l’entità, il valore, il senso, l’effetto (che l’esperienza determina sul linguaggio).
“Mirigrammare” potrebbe trovare riferimento per quella che viene ritenuta una delle funzione dei neuroni-specchio (Giacomo Rizzolatti – Corrado Sinigaglia, 2006), con precipuo riferimento alla “risonanza” che un’azione possa avere sul linguaggio:
“Vi sono infine alcune evidenze sperimentali che sembrano indicare che anche la comprensione del linguaggio faccia riferimento, almeno per certi aspetti, a meccanismi di “risonanza” che coinvolgono il sistema motorio. Comprendere una frase che esprime un’azione provoca probabilmente un’attivazione degli stessi circuiti motori chiamati in causa durante l’effettiva esecuzione di quell’azione.” (riferimento)
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