ascoltando_dire in relazione
“Proviamo a dircele” (le cose che sentiamo), questo il titolo scaturitomi a mente a seguire il nostro primo incontro di giovedì scorso 28 gennaio ’16*. Ben oltre espressione immediata che presenza e ogni dire manifesta, tanto di Sé rimane segretato tuttavia nello svolgersi delle relazioni agite, solitamente.
Sciami di pensieri pervengono all’espressione manifesta, che per quanto la si doti di parvenza logica e lineare, non può restare estranea a quel ronzio da cui è scaturita.
Quel che si dice appare – solitamente, per chi sta ad esprimerlo soprattutto – lineare e logico. Chi ascolta può concordare o ravvedervi discordanza con proprio sentire, o ravvisare contraddizione in quanto ascolta. E si è comunque sul filo di quel dire, quel che appare. È che dentro questo può, e solitamente si nasconde tanto non detto:
– poiché dico, vuol dire che valgo, e lo dico e lo ridico, giacché riprendo nuovamente la parola;
– oh, che voce suadente; quante cose belle che io ascolto; ancora altro da te vorrei sentire!
Così… due fra tante possibili. Ma certamente non sempre son da dire, queste, e talune neppure da pensare. Ma quante invece se ne pensano nel mentre o, sull’onda, alla distanza:
– Son sicuro che alla prossima romperò il ghiaccio…
* * *
Fra coprire e svelare, viaggia il dire. Quanto da dire sia possibile, come utile e necessario; quanto da velare lo possa essere altrettanto. Margini estremamente fluidi fra una possibilità e l’altra ; e dipende dai contesti, soprattutto. Qui diciamo di rapporti in senso lato, quelli ordinari, in famiglia, fra amanti o amici, fra chi ci si conosce, allorquando i margini di reciproca apertura possono essere notevoli, in crescita, o giungere ad assottigliarsi e addirittura scomparire.
Ben oltre l’apparenza che nel pronunciarli li distanzia, dire ed ascoltare incarnano intima complementarietà, tanto che non è dato uno senza l’altro: nel dire si ha bisogno di ascoltare; e dall’ascolto scaturisce necessario il dire.
Ogni senso disponibile favorisce ascolto; e ogni segno reso manifesto, esprimersi.
Potenziare ascolto ed espressione è lavoro psicologico, favorendo, prima, sensibilità per ogni segno colto nella frazione d’attimo, che sia intimo vissuto o esteriore apparire di sé, o parte di mondo intorno, natura, ambiente o relazione interpersonale o società per ampio lato; ed al contempo voglia e capacità di dire, esprimersi, mettere in luce, raccontare, far presente, trovare il momento e le parole adatte, trasformare in parola moti dell’animo, sentimenti e idee, e coniugare al meglio il proprio dire col contesto della relazione in cui si è.
Ha ruolo erotico profondo il dire, giacché ci si erge, ci si mette in mostra, si può far breccia nelle convinzioni e nel vissuto altrui.
Ma da considerare retaggi di ancestralità su cui ha base: paura di scoprirsi, nel poco dire, o, nel troppo, aggressività in agguato.
* * *
Da “Tu ed io” in “noi”: come due soggettività individuali pervengono ad un soggetto plurale? Questa la traccia per i nostri due incontri.
Partiamo da Sé, ciascuno, e vi restiamo saldamente ancorati, giacché è da quanto e come si è consapevolmente sé stessi che si possono sviluppare soddisfacenti relazioni col mondo.
Sé e relazione, quindi, i due termini essenziali di riferimento, che trasformano in dato concreto l’intento sotteso ad ogni esistenza.
Sé è identità, ma molteplici i volti che IO può assumere nel costituirla.
“Diventa ciò che sei” è indicazione a cercare ciò che già si è: cerchiamo Sé-identità fra specchi di IO-molteplice. Reperire IO e ricondurlo a Sé è dignità d’umano ed essenziale salubrità.
Sé, diciamo, di dimensione profonda del vivere, radice e fondamento dell’essere nel mondo, consapevolezza e relazione a un tempo.
IO, sfera dell’immediatezza e delle necessità, dell’apparire e del mostrare; bisogno d’esserci e di dire d’esserci.
In Sé va messo in conto un costante gioco delle parti: IO, con istinti e passioni, profondità anch’esse; e Sé, allorquando si apre in immediatezza espressiva. Ma “in Sé” diciamo, quale contenitore e contenuto ad un tempo. Giacché, qualora sia IO a contenere Sé, un patatrac sarebbe in atto, come impazzimento ideativo o cellulare, debordamento del flusso vitale, a cui porre rimedio. Ma sempre meglio evitar che accada.
E siamo per riconoscere le sfaccettature di IO, per riportarle a Sé, e talune vergognose e disdicevoli, o persino ostili verso Sé o propri cari; quanto di “rifiuto” o “cacca” possa coesistere a pochi centimetri da quel cuore nobile che in Sé si custodisce e che anima la vita.
Scorie da trattare di IO e Sé, sistema di riciclaggio psicologico da rendere efficace, giacché troppo parte di Sé tali aspetti pur non graditi, da non poter essere dismessi e posti all’uscio, da riconsiderare invece in funzione altra, come da pietre d’inciampo a pietre d’edificio.
Base di trasformazione il filo del respiro, nella reciprocità costante fra Sé ed Universo mondo, e, in pari tempo, fra Sé ed IO: non sfugge piega di sguardo, gesto, dire, tempo, aspetto di realtà, sentire intimo che non determini riverberi nel fluire di quel filo.
Nel creare consapevolezza su quanto agevola e fluidifica o quanto invece ostacola e blocca il filo del respiro che il lavoro psicologico giunge ad aprire spazi, e su questi viene resa agevole la trasformazione che si voglia, del vissuto dato di realtà rispetto a quanto possa offrire più adeguato compimento all’esperienza per come Sé necessiti e intenda.
Consapevolezza è azione sensibile in grado di cogliere quanto meglio e più ogni frangente d’esperienza generata. Data ampia, variegata e per lo più volubile gamma di vissuti che ogni frangente ha in sé insita, giovano criteri per decodificare attualità di presenza e di carattere per come intimamente si è indotti ad essere e a vivere, circostanze e situazioni varie di vita e proprio agire.
Criterio utile può essere una griglia fra temporizzazione e lateralizzazione dell’umano cerebro; temporizzazione, percorso antropomorfico fra area arcaica ed evoluta; laterizzazione, funzioni di emisfero destro – immaginifico – e sinistro – razionalizzante -. Dall’intersecarsi fra esse si ricavano aree di carattere – pensiero e comportamento – come da seguente schema:
In considerazione del prevalere di qualcuno degli atteggiamenti individuati come specifici per ciascuna delle quattro aree, è possibile inquadrare come appartenente prevalentemente ad essa il carattere di un soggetto. Pur potendo solitamente prevalere uno o l’altro dei vari aspetti, e riconoscendo quindi il carattere in una delle date aree, è da dire che le quattro dimensioni, in realtà, appartengono ad ogni soggetto, anche se una fra le altre può di solito prevalere nel carattere o nel momento. Tale coscienza di includere in sé le quattro dimensioni, con la consapevolezza di quale sia quella in cui in un dato momento ci si ritrova ad essere, per quello che si fa, per il tipo di idea che sopraggiunge, il comportamento che si adotta, ciò determina l’attivazione di una QUINTA DIMENSIONE, che chiamiamo COSMICA o PLANETARIA: questa, lo spazio della trascendenza, della preghiera, della poesia, dell’arte, della gioia e del coraggio, dell’amore profondo, dell’orgasmo e dell’agape ad un tempo.
Le aree dimensionali cerebrali possono costituire, quindi, dei codici o paradigmi per leggere e comprendere il tipo di pensiero, gesto, azione che in una data situazione si determina e realizza. La stessa situazione o gesto si può connotare in maniera diversa in ragione del paradigma che si utilizza. Una semplice mela fra le mani, per capirci, la si può sperimentare sotto più profili: quello della razionalità, mediante la valutazione del peso, dimensione, forma, colore, caratteristiche energetico-nutritive, costo, provenienza, ecc.; ma contemporaneamente anche coglierla per aspetti emozionali, quali il sapore e il gusto, e rievocativi: il ricordo di una mela un giorno, la mela in un proverbio, in un racconto ecc.. Quella mela farà senz’altro prevalente una fra le possibili connotazioni che la riguardino al momento, ma questa non esclude la presenza delle altre, in angoli celati della mente, ma che non mancano di determinare degli effetti sul funzionamento mentale ed in definitiva anche sugli atteggiamenti e comportamenti del soggetto.
L’equilibrio della mente è il frutto anche della possibilità di rendersi conto di quale area dimensionale sia attiva in un certo momento o situazione per il flusso mentale che si determina e il comportamento conseguente. Cosa determini l’attivazione prevalente di una certa area dimensionale dipende, per ciascuna circostanza, dalle caratteristiche intrinseche di personalità del soggetto e dal rapporto che egli ha con il contesto ambientale. Quella mela, fra tante, al mercato generale della frutta non è considerata da nessuno, finché un bambino, passando furtivo, la prende e fugge via nascondendosela in petto, sedendosi poco più in là su un gradino ad assaporarla… quando da un’immagine una storia prende forma!
(*) Quest’articolo include riflessioni e scheda tematica dei due incontri svolti il 28 gennaio e il 4 feb.’16 presso l’Università Popolare di Casarano sul tema: Linguaggio, comunicazione e rapporti interpersonali.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Fornisci il tuo contributo!