Allarghiamo il senso di quanto accade ad un sentire più ampio, ve n’è urgenza: dire, ascoltare, leggere,scrivere, musicare, dipingere, danzare e correre, ne sono il mezzo. Ascolto l’intimo riecheggiare di quanto io attraverso nel mio percorso di vita / Ascolto l’intimo riecheggiare di quanto mi perviene: fra queste due espressioni colgo l’abisso. E fra esse, la necessità di una scelta di campo da cui guardare il mondo e sul quale sviluppare esperienza e presenza. Mi pervengono storie raccontate dai miei pazienti / ascolto storie di persone che incontro nel mio lavoro: fra le due scelgo e vivo la seconda, attinente al mio sentire e metodo di lavoro. In ogni persona ed esperienza che incontro, e narrazione che ascolto colgo un richiamo alla mia personale esperienza. Letteratura psicologica è prevalente studio di casi, oggettivazione di essi attraverso competenza di chi li osserva e formula pareri, diagnosi e indicazioni terapeutiche. Senz’altro necessario questo tuffarsi nella narrazione ascoltata, e narrare di chi s’incontra, e interpretare pure suoi segni e fatti che apporti. Ma colgo anzitutto quanto quest’esperienza che incontro produce su Me che la accolgo. E può giovare un esergo: “A chi gli chiede ora cosa è la complessità il signor Palomar risponderà che si tratta di uno sguardo che considera il nostro sguardo, e gli racconterà la sua esperienza con il cielo stellato. (Marco Belpoliti).
Dallo sguardo che, nel guardare le stelle, sappia osservare anzitutto se stesso, le stelle potranno apparire tristi o liete, ordinate o in completo disordine, lontane anni luce o vicine nel cuore; e non dalle stelle dipende ma dallo sguardo con cui le si guarda. Da mutare, in conseguenza, anche i termini di riferimento: “l’altro” è anzitutto “soggetto” nella relazione, interfacciato quale “oggetto” di attenzione, osservazione, studio, intervento, ma integrati, entrambi, in una reciproca funzione di scambio, nei tratti dell’incontro – quale figura e sfondo – e mai prevalente per definizione uno sull’altro.
Patisce, paziente, ché, nell’avvertita difficoltà, perviene all’incontro. Se, come tale lo si intesse, l’incontro può disvelarsi opportunità fin nell’immediatezza del contatto: “piacere” nel presentarsi; quindi sollecita accoglienza; sviluppo di fiducia che custodisca, sacro, ogni vissuto d’esperienza; spazio per allargare sguardo e respiro. Il sussulto d’avvio è traccia di trasformazione possibile da “paziente” ad “agente”, soggetto attivo nella relazione, e che si riesca a generare immediata, o, ad attenderla, del tutto improbabile si renderà nel prosieguo.
E riprendo differenza fra “Ascolto l’intimo riecheggiare di quanto io attraverso nel mio percorso di vita” / “Ascolto l’intimo riecheggiare di quanto mi perviene”: da eguale apertura, si diparte una distanza fra due diverse modalità di presenza nella relazione: fra scegliere d’incontrare l’altro, e, banalmente, scegliere di farsi raggiungere dall’altro. Ai passi di chi perviene all’incontro possono corrispondere i passi mentali per andargli incontro. E differenza canta fra Sé in attesa che l’altro giunga; e Sé in cammino per l’incontro atteso. È visione di Sé nella relazione, fin dall’avvio, dinamica o passiva. E se trasformazione caratterizza alla base il lavoro psicologico, solo la funzione dinamica di Sé nella relazione la può favorire. E se utile e necessaria la dinamica presenza, lo è già fin dal termine d’avvio: insieme ci s’incontra.

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Per quanto ci si avvicini o distanzi nella relazione, una misura nell’andatura è necessaria, e questa è data dalla condizione di stato di chi partecipa all’incontro. Flusso del respiro, battito cardiaco, modalità d’appoggio, di sguardo e gesto, sviluppo discorsivo, tutti parametri per considerare la condizione di stato. Ed occorre padroneggiarla per porsi a guida dell’incontro. Ed è questo, del resto, l’obiettivo intrinseco a cui la relazione terapeutica mira: divenire sempre più capaci di cogliere la condizione del proprio stato, favorendo, per quanto possibile, altrettanto per il proprio interlocutore. Ed è lo sviluppo di tale consapevolezza la chiave di volta per aprire cammino verso l’obiettivo terapeutico che si renda esplicito per il problema apportato dal soggetto utente.
Come può considerarsi obiettiva una situazione se mutuata attraverso una soggettiva osservazione? È la vera scommessa di ogni intervento terapeutico: obiettività di sguardo e valutazione sono la condizione indispensabile per la formulazione di una indicazione attendibile e che miri, nel suo realizzarsi, a diventare efficace. Ma quanto, includere a considerare il proprio vissuto giunge ad assottigliare il margine di obiettività sulla situazione? Esattamente il contrario, nel lavoro psicologico! Cogliere sé è, ad un tempo, rendersi conto del proprio stato, adeguandolo al meglio per la situazione che si determina, e da qui far scaturire la scelta d’intervento più adeguata nel frangente: tacere nell’ascolto, o intervenire per quanto necessario con un verbo o intercalando un gesto.

(in stesura)