
Per l’occasione, rileggendo il Libro di Giobbe (il capolavoro letterario della corrente sapienziale), su una parola si è appuntata la mia attenzione: amico/i.
Intanto, parto dal testo dei Proverbi che dice: ”Un amico vuol bene sempre, è nato per essere un fratello nella sventura.”(Prov. 17, 17). Di poi il sapiente ricorda: “Le ricchezze moltiplicano gli amici, ma il povero è abbandonato anche dall’amico che ha…Molti sono gli adulatori dell’uomo generoso e tutti sono amici di chi fa doni. Il povero è disprezzato dai suoi stessi fratelli, tanto più si allontanano da lui i suoi amici. Egli va in cerca di parole, ma non ci sono.” (Prov. 19, 4-7).
Pertanto, i 3 amici di Giobbe (caduto in disgrazia), vengono così presentati: “Partirono ciascuno dalla propria contrada… e si accordarono per andare a condolersi con lui e a consolarlo. Alzarono gli occhi da lontano ma non lo riconobbero e, dando in grida, si misero a piangere. Ognuno si stracciò le vesti e si cosparse il capo di polvere. Poi sedettero accanto a lui in terra, per 7 giorni e 7 notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore”.(cap. 2, 11-13).
Ma quando iniziano a “parlare”, quando ciascuno di loro apre il dialogo con Giobbe, è via via un “crescendo” fatto di: prese d’atto e riprese, di espansioni e digressioni, di retorica, di simboli ed aperte proteste, di teologia e di umanità (come avverte Gianfranco Ravasi).
Riporto qualche passaggio dell’amico ELIFAZ che pone già la “questione”: “Se si tenta di parlarti, ti sarà forse gravoso? Ma chi può trattenere il discorso? (4, 1-2). La tua pietà non era forse la tua fiducia e la tua condotta integra, la tua speranza?” (4, 6). Poi dice la sua: “Io mi rivolgerei a Dio e a Dio esporrei la mia causa:(5, 8). E sentenzia:<
Giobbe risponde:“A chi è sfinito è dovuta pietà dagli amici, anche se ha abbandonato il timore di Dio. I miei fratelli mi hanno deluso…Così ora voi siete per me: vedete che faccio orrore e vi prende paura.”(6, 14-21). E aggiunge:”Ma io non terrò chiusa la bocca, parlerò nell’angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell’amarezza del mio cuore!” (7, 11).
Ancora più indignato dall’intervento di ZOFAR, Giobbe risponde: “Quel che sapete voi, lo so anch’io; non sono da meno di voi. Ma io all’Onnipotente vorrei parlare, a Dio vorrei fare rimostranze. Voi siete raffazzonatori di menzogne, siete tutti medici da nulla. Magari taceste del tutto! Sarebbe per voi un atto di sapienza!(13, 2-5)… Tacete, state lontani da me: parlerò io, mi capiti quel che capiti”(13, 13).
All’accusa di ELIFAZ che, comportandosi in tal modo, Giobbe avrebbe distrutto la religione e abolito la preghiera a Dio, egli risponde: “Anch’io sarei capace di parlare come voi, se voi foste al mio posto: vi affogherei con parole e scuoterei il mio capo su di voi. Vi conforterei con la bocca e il tremito delle mie labbra cesserebbe (16, 4-5). E continua: “miei avvocati presso Dio sono i miei lamenti, mentre davanti a lui sparge lacrime il mio occhio, perché difenda l’uomo davanti a Dio, come un mortale fa con un suo amico”(16, 20-21).
A BILDAD e compagni (sentendosi trattati come bestie), Giobbe risponde: “I miei fratelli si sono allontanati da me, persino gli amici mi si sono fatti stranieri. Scomparsi sono vicini e conoscenti, mi hanno dimenticato gli ospiti di casa; da straniero mi trattano le mie ancelle.… Mi hanno in orrore tutti i miei confidenti: quelli che amavo si rivoltano contro di me (19, 13-19). Pietà, pietà di me, almeno voi amici, perché la mano di Dio mi ha percosso! (19, 21).
E a ZOFAR, che aveva considerato questo un rimprovero offensivo, Giobbe risponde: “Ascoltate bene la mia parola e sia questo almeno il conforto che mi date. Tollerate che io parli e, dopo il mio parlare, deridetemi pure. (21, 1-3).
Ecco , io conosco i vostri pensieri e gli iniqui giudizi che fate contro di me!(21, 27)…Perché dunque mi consolate invano, mentre delle vostre risposte non resta che inganno?(21, 34).
Senza entrare nel merito della disputa teologica insita al Libro, pongo il presente quesito: da un punto di vista ermeneutico, con la parola, col dialogo sul piano prettamente umano, oggi, risultando difficile una dialettica, è vero che riusciamo a distruggere persino le relazioni amicali? Mentre cerchiamo di rispondere alle sfide del nostro tempo, forse cerchiamo le soluzioni complete, generali, ma che lasciano vuoti, aridi, freddi gli approdi su certi lidi.
Si dice: solo in una dimensione trascendente, in un TERTIUM, vetta trinitaria del monte, è possibile vivere le relazioni umane nel dialogo interpersonale.
E il Card. Martini insegna: “La parola di Dio è qualcosa che ci supera da ogni parte, che ci avvolge e che quindi ci sfugge, se tentiamo di afferrarla. Ma se siamo nella Parola essa ci spiega e ci fa esistere”(C.M.Martini, “In principio la Parola”, Lettera pastorale 1981-1982).
Gradirei una ulteriore riflessione. Grazie!
Lecce, 23 settembre 2015.
Nota all’intervento “In margine al …Libro di Giobbe”.
Pur essendo consapevole che un Convegno Nazionale sia un “edificio monolitico” nel sistema comunicativo e, lungi da me un atteggiamento di “rinuncia” d’intervento, in quanto convinta che esistesse una “via di entrata e di uscita” dal “sistema” che permettesse al dubbio di emergere come parte integrante del Convegno stesso, assumendo altresì un atteggiamento conscio e responsabile, ho tentato di essere un soggetto attivo, nel fornire un contributo personale al dibattito, dopo aver scelto come interlocutore il prof. Giorgio Mancuso, Critico e Biblista. Sono caduta nella pura assurdità del richiamo ad una realtà “inaccessibile”, come quella che si verifica in ogni Convegno Nazionale o internazionale che si rispetti.
Se qualcuno avesse solo pensato “qui c’è qualcosa di strano, cerco di capirlo”, se avesse finto di credere a ciò che dicevo (leggendo) o se avesse ragionato sulla portata del “dialogo” interpersonale, riconoscendone la possibilità biblica, forse avrei potuto essere salvata da quella situazione “terribile”, non meno di quella in cui si era venuto a trovare Giobbe. Così non è stato!
La condizione di qualcuno (il relatore) è la situazione socio-culturale “in situ” di qualcun altro (l’uditore): entrambi persone realmente coinvolte in un evento comunicativo. Pertanto, potendo astrarre la relazione dalla prossimità, dalla possibilità conoscitiva religiosa, non avremmo una individualità, personalità, ma solo qualità comportamentali espresse in un concetto, talora giudizio.
Emergono puntualmente le discrepanze nella cosiddetta “punteggiatura” di eventi congiuntamente esperiti. La sordità di fronte ad una “punteggiatura” ovvero i criteri applicati al processo di scelta comunicativa da una parte, combinata con l’ingenua convinzione che la realtà sia un modo con cui l’altra parte “punteggia” quell’evento, conduce a discrepanze, talora insanabili.
Sono convinta che l’onestà e la sincerità delle proprie intenzioni ed azioni alimenti la fiducia dell’uomo in Dio e nei suoi simili, nella speranza che “parlarsi” sia un recuperare la “comunicazione perduta” dei nostri giorni.
Sono altresì convinta che solo “mettendosi in gioco”, per scandagliare la propria realtà spirituale più profonda, si superi <
Rilke).
Lecce, 4 ottobre 2015
—-Messaggio originale—-
Da: casillirosa@
Data: 19-ott-2015 11.50
A: “Luciano Provenzano”
Ogg: dialogo
Caro Luciano,
ti invio – in allegato – due testi da me prodotti a proposito del dialogo interpersonale, (…)
E’ stato un Convegno Nazionale, tenutosi a Lecce il 23-24 settembre, nella sala conferenze del Seminario Antico – Piazza Duomo, organizzato dalla Facoltà Teologica Pugliese Istituto Superiore di Scienze religiose di Lecce, sul tema “Giobbe e la forza del dialogo”. L’interlocutore da me prescelto è stato il prof. Giorgio Mancuso, Critico e Biblista che per un’ora aveva tenuto la sua relazione dal titolo “Giobbe: dalla parola urlata che domanda a Dio il perchè del male al silenzio della contemplazione dell’armonia terribile del creato”. Mi sono rivolta al Biblista, spostando il focus sul “dialogo umano” che avevo recuperato, avendo letto e riletto con attenzione il testo biblico, orientata a cogliere l’aspetto che ancora oggi mi interessa di più.
Sono stata autorizzata a leggere il mio intervento solo per 3 minuti, dall’ inizio fino alla citazione di Ravasi e la fine a partire dalla formulazione del quesito. Ebbene, in sede, mi è stato risposto che “quelli non erano veri amici”!
La settimana successiva, per me stessa, ho scritto una nota riflessiva, proprio perché, a tutt’oggi, non riesco a contenere “la rabbia” per il mancato dialogo umano.
Chiedo a te qualche riga di consolazione. Autorizzo la pubblicazione dei miei testi sul tuo sito, (…)
Sono fiduciosa che in altro modo il dialogo umano si possa recuperare. Salut…issimi. Rosa Casilli